Fatima
13/04/2016 Evacuato l’aeroporto Schipol di Amsterdam. Lo scalo della capitale olandese è stato oggetto di un allarme, scattato per uno scatolone sospetto. Corpi speciali dell’esercito sono entrati in azione per una telefonata in cui si segnalava…
“Ding ding”
Fatima. Il nome si affaccia nella mia testa come un tuono inaspettato in un giorno di sole. La bambina di fronte a me, chiara, nei suoi occhi come cielo e capelli come grano, non somiglia affatto a mia figlia Fatima. Ma l’essenza della fanciullezza ingenua non ha confini di razza o di colori. Quella bambina così diversa mi appare mia figlia, per un istante, mentre gioca con lo stesso sonaglino. “ding ding”.
“Sfrush”
L’uomo seduto alla mia destra scorre le foto sullo smartphone. Ha gli occhi rossi e umidi di lacrime. La donna fotografata è bella, nonostante il velo islamico che le copre i capelli. La conosco, sua moglie Samira. Noi tre siamo cresciuti insieme nella terra matrigna del medio oriente, e ora è venuto il momento di dirsi addio. La cintura esplosiva sotto la maglia fa sudare. Ma non di caldo, di paura.
“Tu-tum”
Il cuore pare uscire dalle orecchie. Si avvicina il momento. Fisso Abdul dritto negli occhi e capisco il suo pensiero. Che è anche il mio. Mi guardo attorno e lo vedo. E, finalmente, dopo due settimane, sorrido.
“Deng”
La moneta si nasconde nella fessura del telefono pubblico, illuminando il display. Pochi secondi e riattacco. Ora si tratta solo di aspettare. E non si fanno attendere. Sirene e scalpiccio di passi di corsa. Via!
“Spluf”
Le nostre cinture esplosive scompaiono in uno dei canali di Amsterdam. Abdul sorride. Le foto mandate al nostro capo ci faranno da alibi. “Operazione annullata, troppa polizia”. È bastato telefonare di uno scatolone sospetto in aeroporto… E ora a casa, a riabbracciare Fatima.